Spazio del Corpo 

Corpo dello Spazio

Il gesto artistico come mediatore tra corpo e spazio

Cristiano Vettore

Direttore artistico dell’Atelier di Disegno e Pittura della Fondazione Martin Egge Onlus,  artista visivo e docente


Nel corso della sua storia millenaria l’uomo ha sempre risposto all’esigenza insita nel suo essere di porre dei limiti, circoscrivere lo spazio, creare ambiti di demarcazione per distinguere le diverse componenti della realtà. 

La nostra percezione tende a chiudere figure aperte, separa la figura dallo sfondo, stabilisce, allo stesso modo, una relazione tra soggetto e oggetto.

L’essere umano nel suo percorso di soggettivazione, ha operato una distinzione ed una separazione dall’altro, grazie alla percezione dei propri confini, dei propri “bordi corporei” che entrano in contatto e consentono di confrontarsi con l‘Altro da sé. 

Attraverso il nostro corpo percepiamo quali sono le coordinate, le direzioni, le dimensioni e l’ordine dello spazio che ci circonda e ciò ci induce ad affermare che tale spazio è “corporeo”; qualsiasi relazione spaziale nasce e si diparte infatti attraverso il nostro corpo e tale aspetto appare particolarmente attuale, aprendo a molte riflessioni anche in relazione alla mancanza di contatto fisico generata dalla pandemia che ci siamo appena lasciati alle spalle.

Secondo la visione di Maurice Merleau-Ponty, filosofo francese ed esponente di primo piano della fenomenologia del Novecento, lo spazio è, prima di tutto, “luogo possibile d’azione”, nonché un qualcosa di strettamente relativo al vissuto del nostro corpo. 

Il significato dello “spazio vissuto” di Merleau-Ponty proviene dalla facoltà di abitare tale spazio, di penetrare lo spessore dei suoi bordi attraverso l’esperienza percettiva, di camminare lungo i suoi confini, di compiere azioni al suo interno. Non c’è spazio se non si ha possibilità d’azione per il corpo.

In quest’ottica, trovo particolarmente rilevante la risposta data da Mattia Dian, uno dei ragazzi partecipanti al nostro Atelier di Disegno e Pittura, alla mia domanda su cosa si potesse intendere per “spazio del corpo”, nel corso delle sorprendenti conversazioni nate nel momento in cui abbiamo introdotto loro il concept della futura mostra. 

Dopo averci pensato un po’ su, con un’espressione un po’ perplessa, Mattia ha esclamato con una naturalezza disarmante: “Ma è il vuoto che è presente “in abbondanza” per poterci muovere e fare le cose!!!”.

Lo spazio quindi non può essere percepito e compreso senza essere allo stesso tempo agito, abitato dal nostro corpo e nel momento in cui le nostre azioni cambiano, cambia la percezione che abbiamo del mondo. 

Merleau-Ponty si sofferma ancor più nello specifico su qualcosa che ci riguarda molto da vicino, ossia sul concetto di “spazio del pittore”, la visione che il pittore, e in generale l’artista visivo, ha dello spazio che vive e che non deve essere inteso esclusivamente come spazio fisico ed esterno, bensì anche come spazio interiore e introspettivo, come luogo del “sentire” e terreno di ricerca della profondità.

“Ciò è da ricercare nel rapporto del pittore con le cose. Si tratta di questa animazione interna, questa irradiazione del visibile che il pittore cerca sotto forma di profondità, di spazio, di colore. La visione dà accesso a ciò che è diverso da sé e, allo stesso tempo, ritornando al pittore, gli permette di ritornare a se stesso: insegna a distinguere e ad unire. Il visibile contiene l’invisibile che lo concretizza come un’assenza. La profondità è, dunque, questa presenza dell’invisibile nel visibile.” 

Durante la stesura del concept di questa esposizione e, in seguito, nella scelta del suo titolo ho fin da subito riflettuto sull’importanza di un elemento in particolare per quello che è il suo imprescindibile ruolo di mediatore tra corpo e spazio nel corso dell’atto creativo. Tale elemento è il gesto artistico.

Il gesto è l’atto materiale ed anatomico con il quale l’artista attraversa lo spazio-tela (o spazio-foglio): ampio o contratto, nervoso o meditativo, lento o istantaneo, il gesto, l’azione, in particolare dall’Espressionismo Astratto degli Anni Sessanta in poi, ha fatto passare in secondo piano la rappresentazione, cristallizzando la partecipazione empatica dell’artista alla sua opera, sentimento irripetibile come è irripetibile l’emozione del momento.


Nella mostra che vi presentiamo e che racchiude le esperienze più significative degli ultimi cinque anni dell’Atelier di Disegno e Pittura, possiamo ammirare l’inflorescenza di tutti i gesti artistici che hanno costellato il percorso di crescita dei nostri ragazzi; ricchi di sfumature ed interpretazioni personali, tali gesti, declinati attraverso linguaggi differenti, diventano le espressioni di diverse visioni della relazione tra corpo e spazio.

Il gesto esuberante, solenne e graffiante di Alessandro Cipriano, per tutti noi il “Capitano”, è l’esplosione di una carica di energia e di una pulsione interiore che non seguono un predeterminato progetto, ma assecondano, quasi automaticamente, un incontrollabile impulso del profondo, raccontando un’emozione nel momento stesso in cui si genera attraverso la simbiosi tra segno e colore. L’intero corpo vi partecipa attivamente come in una danza cromatica e musicale, spazio e tempo si legano tra di loro, l’andamento continuo e curviforme delle linee dà ulteriore ritmo e vigore alla deformazione di visi e corpi, umani ed animali, oltrepassando la soglia del naturalismo, spalancandoci le porte di un universo iconografico personale, maturo e stilisticamente riconoscibile. 

Quello di Mattia Dian è un gesto stilisticamente in piena fase di evoluzione e maturazione. 

Il suo linguaggio artistico fino ad un paio di anni fa era perlopiù caratterizzato da un segno continuo, preciso e veloce, con cui andava a costruire le sue illustrazioni di animali in tempi rapidissimi e attraverso un modus operandi quasi mnemonico, una sorta di disegno ad “occhi chiusi”, i cui soggetti, caratterizzati da uno stile personale subito identificabile, apparivano però spesso vagamente stereotipati nelle loro sembianze. 

L’evoluzione del lavoro di Mattia negli ultimi anni, inaugurata con l’opera La salamandra infuocata qui esposta, ha per presupposto il suo desiderio di imparare a dipingere in maniera sempre più realistica e ha potuto dare i suoi frutti solo grazie all’accettazione da parte sua di “perdere” una piccola parte di sé per giungere ad un punto di svolta della sua ricerca artistica. 

Un percorso che punta ad un coinvolgimento sempre maggiore della sua sensibilità attorno al concetto di “materia pittorica, intesa come senso di natura”, verso una ricerca sul colore come forma, luce, percezione, memoria ed esperienza.

Il gesto di Lorenzo Praitano è dinamico e narrativo, quasi inafferrabile nel suo perpetuo indagare, costruire, cancellare, rimodellare tanto le figure e i personaggi, quanto le storie fantastiche alle loro spalle che fanno da filo conduttore delle sue creazioni pittoriche dolci, oniriche e visionarie.

Amos Bompieri carica il suo segno dell’eleganza formale che deriva dalla sintesi rappresentativa, e lo riporta al gesto semplice, essenziale, ma minuzioso ed accurato del “dipingere”, mettendo in evidenza una particolare sensibilità nella cura delle scelte compositive e cromatiche.

La scrittura guida, invece, il gesto grafico, quasi incisorio, di Mattia Marchiori, così straordinariamente espressivo nel suo transitare in equilibrio sul filo tra graffitismo, poesia visiva e narrazione.

I suoi “prototipi” mescolano realtà e finzione e trasmutano in chiave poetica alcuni tra i più diffusi stereotipi della società dei mass-media, restituendocene una versione nobilitata, fantasiosa e permeata di ironia.


In conclusione, la mia esperienza mi spinge ad affermare che il concetto di “Atelier” possa andare ben oltre i confini di uno spazio fisico di lavoro e questo per il nostro Atelier di Disegno e Pittura è più che mai vero. 

Ogni giovedì pomeriggio abbiamo a disposizione uno spazio dove lavorare, procedere per tentativi, sbagliare, rimediare, pensare, esprimerci, lasciarci sorprendere, scambiarci le idee, divertirci o semplicemente stare tranquilli. 

Un luogo in cui far girare alcune idee per il verso giusto, insomma.

Sono trascorsi cinque anni da quando, insieme a Chiara, ho avuto il privilegio di iniziare a condurre un Atelier che è uno spazio più che mai vivo e vissuto, un sistema organico che cambia di continuo, si modifica, cresce.

…E in questi anni siamo cresciuti moltissimo, chi ci segue da vicino lo può testimoniare.

È una fucina di tentativi audaci, talvolta azzardati, fronti di ricerche e linguaggi diversi tra loro, accomunati dalla passione settimanale di inseguire e prendersi cura del proprio stile artistico in relazione con l’Altro, coltivando il potenziale immenso racchiuso nel “gesto” creativo di ciascun ragazzo e nel suo imprevedibile mediare tra spazio e corpo.