A cielo aperto

A cielo aperto, un film di Mariana Otero (sottotitoli in italiano)

Chiara Mangiarotti

Con una celebre espressione, Jacques Lacan afferma che, nella psicosi, l’inconscio sarebbe a cielo aperto, aggiungendo però che esso non è operativo nel dispositivo della psicoanalisi basato sull’associazione libera. Perché allora questo titolo, A cielo aperto?

La regista, Mariana Otero, come possiamo leggere nelle sue dichiarazioni, ha affermato di aver fatto una scommessa sulla possibilità di filmare questi bambini autistici e psicotici residenti a Le Courtil, un luogo speciale dove si applica un dispositivo chiamato pratique à plusieurs, pratica in diversi. Non si seguono dei protocolli, ma ci si accosta al bambino caso per caso, destituendo il proprio sapere a priori e cercando di stabilire un legame preliminare con lui a partire dai suoi interessi. 1

Come entrare in rapporto con questi bambini che, per definizione, soffrono di un disturbo della relazione con l’Altro? Mariana Otero ha vinto la scommessa inserendosi lei stessa nella strategia della pratica à plusieurs. Per riuscirci si è data molto tempo – un anno di permanenza e di vita in comune nell’istituzione prima delle riprese – e da sola, senza équipe, con la sua cinepresa incorporata è diventata parte integrante del luogo di cura. Si potrebbe dire che si è trasformata in un atelier tra gli altri, l’atelier “Donna con la cinepresa”. Ed è a questa “persona protesica” che i bambini si relazionano, come noi spettatori possiamo vedere. Buona parte del film è stato girato nello spazio aperto, nel cortile e nella campagna che circondano l’edificio di Le Courtil.

Il tempo e lo spazio come strutture del linguaggio sono due coordinate gravemente disturbate nei bambini autistici e psicotici. La continuità spaziale e temporale di questo Centro di soggiorno è la premessa necessaria affinché il bambino si possa pacificare e ci possa essere una possibilità di emergenza del soggetto. Nell’autismo e nella psicosi c’è confusione nel tempo perché non si è prodotta la struttura che prevede di ricevere dall’Altro il proprio messaggio in forma invertita; e c’è confusione nello spazio per la mancata inversione dell’”io” nel “tu” nel luogo dell’Altro: la formazione di un io corporeo che avviene nello stadio dello specchio. Così Evan confonde l’io con il tu, Allyson percepisce il proprio corpo come non unificato, Jean–Hugues percepisce il presente come eterno, vive nella simultaneità.

Eppure nell’ambiente di Le Courtil, che colpisce per la calma che vi regna e per l’atmosfera tranquilla e pacificante che gli operatori riescono a creare, dei piccoli cambiamenti si producono quando il bambino percepisce di non doversi più difendere dall’Altro. Li possiamo osservare nei gesti quotidiani e nelle attività degli atelier. Evan comincia a bordare attraverso la scrittura il suo essere senza limite, fa le crepes e le gira e alla terza volta ci riesce! Allyson sembra ricomporre il proprio corpo, il suo dentro e il suo fuori, attraverso ricette di cucina che compone pezzo per pezzo. In questo lento processo di trasformazione che osserviamo nei piccoli protagonisti, la macchina da presa di Otero è parte in causa: se all’inizio del film Evan sembrava non vederla, verso la fine getta uno sguardo in camera quando recita la poesia Á la claire fontaine. Come gli operatori di Le Courtil notano, l’obiettivo della macchina da presa costituisce per Allyson uno sguardo pacificante che tiene insieme il suo corpo. Jean-Hughes si presenta da subito come un protagonista del film e nel corso del film dimostra una presa di posizione soggettiva nel colloquio con Alexandre Stevens davanti a tutti gli operatori, dove si presenta scegliendo come oggetto da portare con sé le strisce dei fumetti disegnate da lui, ovvero sequenze che prevedono l’iscrizione nel tempo.

Tornando alle parole del titolo, A cielo aperto, esse evocano, mi sembra, l’esatto contrario dell’”inconscio a cielo aperto”: le inquadrature di squarci di cielo, di radure celesti tra nuvole di passaggio, sono piuttosto punti di sospensione, l’indice di un’apertura all’epifania del soggetto.

1 La pratique à plusieurs è stata messa a punto da Antonio Di Ciaccia all’Antenne 110 di Bruxelles una quarantina di anni fa e si è espansa in diverse istituzioni presenti in Belgio, Francia, Spagna e Italia, oltre che in America latina, mostrando tutta la sua efficacia.